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Si!!!L’ho trovato ecco il mio secondo post sulla robotica riguardante il cinema:

Alter-ego artificiale dell’uomo o costruzione aliena, buono o malvagio che sia, il robot è una figura ormai consolidata nell’immaginario collettivo del ‘900 grazie soprattutto all’impatto e alla diffusione delle immagini cinematografiche. Per questo è forse proprio al cinema che il robot deve la sua maggiore celebrità, una fama che dura ormai da oltre settant’anni e che contiene in sé numerosi esempi.

La strana coppia

C1P8 e D3B0

Di tutt’altra pasta sono invece i robot di George Lucas. Buoni, fedeli servitori, amici per la pelle, ingenui come bambini e spesso involontariamente comici, D3-B0 e C1-P8, questi i nomi come appaiono nella versione italiana della prima trilogia (i loro veri nomi nella versione originale sono C3-P0 e R2-D2, come vengono riportati – questa volta giustamente – in Episodio I), sono i robot che tutti vorremmo avere a casa nostra. Eroici solo quando serve, rassicuranti e divertenti sempre, la coppia robotica di Star Wars (1977) e dei suoi seguiti è unica nella storia del cinema di fantascienza e, nella sua semplicità, costituisce una delle intuizioni più geniali che il regista americano abbia avuto nella sua saga stellare. C1-P8 e D3-B0 rappresentano infatti la versione robotica della coppia comica "tipo": Stan Laurel e Oliver Hardy, Topolino e Pippo e, tanto per restare a casa nostra, Cochi e Renato, Gigi e Andrea e tante altre coppie del cabaret, dove la precisione, la ragione e la consuetudine si scontrano in un meccanismo quasi matematico con la pazzia, l’irrazionalità e l’eccezione. Ed è proprio dal confronto continuo di queste radicali differenze di mentalità e comportamenti (e anche, badate bene, di caratteristiche fisiche!) che scaturisce la situazione comica. Se tale meccanismo era già assai noto nel cinema e nel teatro, a Lucas va il merito di aver avuto l’intuizione di trasporlo in chiave robotica creando due tra i personaggi più amati della sua saga. Ma Lucas ebbe anche un secondo, eccezionale colpo di genio: quello di far parlare uno dei due solo con bip e squittii, facendo intuire allo spettatore il suo parlato dalle reazioni, spesso inconsulte, della sua controparte. Se vi si aggiunge poi un design accattivante e dei dialoghi spumeggianti, il successo non poteva mancare. Successo dovuto anche alle affezionate "anime" di D3-B0 e C1-P8 ovvero rispettivamente Anthony Daniels e Kenny Baker, che a distanza di vent’anni hanno ripreso i metallici panni per la nuova trilogia.

La divisa di metallo

 


Il decennio si conclude con RoboCop (1987, idem) diretto da Paul Veroheven che nel campo fantascientifico avrebbe da lì a poco firmato anche il buon Total Recall (1990, Atto di forza), e roboticamente interpetato da Peter Weller nella parte dell’agente di polizia che, crivellato di colpi durante una sparatoria in una Detroit violenta e sanguinaria, viene ricostruito e "bionizzato", per contribuire a formare un agente-cyborg senza sentimenti, ma dedito interamente a obbedire alle direttive impartitegli per combattere il crimine dilagante. Anche il considerevole successo di questa pellicola persuase la produzione a realizzare due seguiti, il mediocre RoboCop 2 (1990, idem), ancora con Peter Weller e diretto dallo stesso Irvin Kershner de L’impero colpisce ancora, che in tema di secondi episodi ebbe certo miglior fortuna con quello della saga lucasiana, e RoboCop 3 (1993, idem) che, grazie anche al tonfo del precedente capitolo, ebbe per sua fortuna pochissime attenzioni.

Robocop

 

Gli ultimi robot?

L'uomo bicentenario
L’uomo bicentenario

Malgrado gli enormi progressi tecnici nel campo degli effetti speciali che potrebbero giustificare nuove e sempre più sofisticate e realistiche soluzioni tecnologiche, come si vede, gli ultimi dieci anni di cinema non sono stati poi così generosi di invenzioni originali roboticamente parlando. Tolti i vari seguiti di Robocop e Terminator, non rimane che un’apparizione da comprimario in Lost in space (1998, idem), in cui il robot sabotato ha una parte fondamentale nel far perdere la famiglia Robinson nello spazio, e il recentissimo The Bicentennial Man (1999, L’uomo bicentenario), diretto da Chris Columbus con Robin Williams, di cui abbiamo parlato nel numero scorso, peraltro melensa e menzognera trasposizione della visione asimoviana del robot, in cui l’onta suprema è il tradimento finale e impunito delle Tre Leggi della Robotica!
Un dato di fatto è che forse la tecnologia reale ha fatto del robot fantastico una figura tutto sommato obsoleta, sottraendogli fascino e attrattiva nei riguardi di un pubblico sempre più smaliziato, e rendendolo un soggetto cinematografico degno di sempre minor attenzione, un po’ come un vecchio cow-boy di frontiera mandato in pensione insieme con la sua Colt 45 e i suoi saloon fumosi. Ma forse neanche questo è del tutto vero, e il futuro darà ragione a chi crede che la figura del robot non morirà mai, perché in fondo, dietro (o dentro!) al robot ci sarà sempre un essere umano.

 

 

 

 

 

Spero che il mio post vi sia piaciuto e comunque questa è una piccola parte di quello che potete trovare su Robot Cinema aspetto commenti…

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