LA RADIODIFFUSIONE(Secondo deposito)
La radiodiffusione in Europa; Italia:
In Italia lo sviluppo della diffusione della radiofonia non differisce da quella verificatasi nella maggioranza dei paesi europei. I primi esperimenti di radiodiffusione circolare furono opera di dilettanti e iniziarono intorno al 1920. Questi esperimenti, insieme alle notizie dei progressi compiuti all’estero, interessarono ben presto la stampa e crearono di conseguenza aspettative da parte del pubblico che non tardarono ad essere soddisfatte. Una prima iniziativa si ebbe a Roma nel 1922 con Radio Araldo, fondata dalla Società Araldo di Roma che già esercitava un servizio di trasmissioni di notizie e musiche su una rete telefonica. Radio Araldo cominciò a trasmettere per alcune ore al giorno con una piccola stazione di soli 250 watt che venne installata a Piazza S. Claudio. Nel febbraio 1923 un Regio Decreto riservava allo Stato l’esercizio degli impianti di radiodiffusione con facoltà da parte del Governo di concessioni a privati. In conseguenza di ciò sorsero imprese che miravano ad ottenere dal Governo la concessione; alcune nella prospettiva di esigere un canone e comunque di ricavare un lucro dalla pubblicità (come avveniva negli Stati Uniti), altre che vedevano nella concessione un mezzo per incrementare la vendita degli apparati riceventi da esse costruiti. In precedenza (4 marzo 1923), un Regio Decreto aveva istituito una Commissione tecnico-legale incaricata dello studio e dei provvedimenti inerenti le radioaudizioni e con il compito specifico di esaminare le domande di concessione proposte dalle imprese interessate. Il 3 giugno 1924 il Ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano indirizzava una lettera alle società che avevano proposto domanda di concessione, invitandole a trovare un accordo; questo fu raggiunto, superando non poche difficoltà, e il 27 agosto 1924 venne costituita la Società Anonima Unione Radiofonica Italiana – U.R.I. -. L’Ente manteneva una struttura formalmente privatistica, cioè rimaneva da un punto di vista strettamente giuridico una Società Anonima ma, per effetto del decreto legge sopracitato, quattro membri del suo consiglio di amministrazione dovevano essere rappresentanti del governo. Lo statuto dell’ente e le sue eventuali modifiche dovevano essere approvati dal Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, sentito il Consiglio dei Ministri. Durante gli anni della dittatura fascista la radio, controllata dal Governo attraverso il Ministero per la Stampa e la Propaganda, diviene il più importante strumento di informazione al servizio del regime. Durante gli anni della guerra (1940 – 1943) tutta l’informazione radiofonica era pervasa dalla retorica bellicista fascista. In seguito alla situazione politica militare venutasi a creare con l’armistizio dell’8 settembre 1943, che pose fine alle ostilità tra l’Italia e le Potenze Alleate, il sistema delle radiodiffusioni venne completamente stravolto Radio Bari, che si trova in quella piccola parte di territorio non ancora occupato né dagli anglo-americani né dai tedeschi, trasmette autonomamente servizi giornalistici nonché messaggi e proclami del re e del governo Badoglio, fuggito, come è noto, da Roma e rifugiatosi a Brindisi. Tali trasmissioni passeranno sotto il controllo dell’esercito alleato solo dopo il 22 settembre. Anche in Sardegna nasce, per iniziativa di un gruppo di militari italiani, una radio autonoma che prende il nome di Radio Sardegna e manterrà la sua autonomia fino alla fine di novembre quando passerà, come tutte le altre stazioni del cosiddetto Regno del Sud, sotto il diretto controllo delle autorità militari alleate.
Nel frattempo una sentenza della Corte Costituzionale, ribadendo la riserva allo Stato dei servizi radiotelevisivi circolari, detta una serie di principi col proposito di realizzare un monopolio più aperto (la RAI dovrà dipendere dal Parlamento e non più dal Governo, le trasmissioni dovranno essere caratterizzate “da obbiettività e completezza di informazione”, dovrà essere previsto il diritto d’accesso e il diritto di rettifica). La sentenza incredibilmente dichiara legittimi l’installazione e l’esercizio, sul territorio nazionale, di impianti idonei alla diffusione di programmi televisivi esteri. Da questo momento si scatena il boom dell’emittenza privata, con diverse centinaia di stazioni che trasmettono, interferendosi le une con le altre, in un caos spaventoso che è stato definito il Far West dell’etere]. Il Parlamento viene immediatamente invitato a provvedere per porre, con una nuova regolamentazione, i limiti ad una libertà che è stata già riconosciuta nella misura più ampia.” La Corte Costituzionale” di fronte all’assenza del Parlamento, trova ripetute occasioni per intervenire e ribadire la validità della riserva allo Stato del servizio radiotelevisivo su scala nazionale e la limitazione all’ambito locale degli impianti trasmittenti privati. Con una nuova Convenzione, il 10 agosto 1981, il Governo concede in esclusiva alla RAI, per la durata di sei anni, il servizio pubblico di radiodiffusione circolare su scala nazionale. Nel novembre del 1982 la RAI introduce il nuovo servizio in stereofonia con due programmazioni sui canali a modulazione di frequenza: “Raistereo1” e “Raistereo2” che trasmettono dalle 15 alle 24; ad essi si aggiunge, sulle tre reti unificate, “Raistereonotte”. Finalmente, il 6 dicembre 1984, il Governo emana un Decreto Legge che legittima in via provvisoria le trasmissioni nazionali dei circuiti privati purché basate su programmi preregistrati. Il decreto legge e la legge vengono impugnati davanti alla Corte Costituzionale mentre continua la situazione di anarchia che mantiene in vita migliaia di piccole emittenti ed un unico gruppo privato con tre reti. Nel 1988 la Corte Costituzionale, pur ammettendo che la situazione di duopolio esistente è in contrasto con i principi costituzionali, ammette la possibilità di dar vita a un sistema misto con emittenti private operanti anche a livello nazionale, purché in presenza di una rigorosa normativa antitrust capace di impedire un oligopolio privato. Sarà la cosiddetta legge Mammì ad attribuire anche ai privati la possibilità di essere presenti a livello nazionale. La legge ignorerà però la raccomandazione della Corte sulle norme antitrust e questo provocherà addirittura una crisi di governo.

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