Comunicare la tecnologia

Per fonte di energia alternativa si intende un modo di ottenere energia elettrica fondamentalmente differente da quella ottenuta con l’utilizzo dei combustibili fossili, che costituiscono le fonti “non rinnovabili”.
Spesso tale classe di fonti energetiche viene confusa o assimilata a quella delle fonti di energia rinnovabile (che in inglese sono sinonimi) o anche a quella delle fonti energetiche in grado di permettere uno sviluppo sostenibile. In realtà le fonti di energia alternativa comprendono una classe più ampia di forme di produzione di energia comprendendo “qualunque” modo di produzione di energia che non avvenga mediante l’utilizzo di combustibili fossili. Una differenza sostanziale ad esempio è la presenza fra le fonti alternative dell’energia nucleare, che non viene compresa nelle altre due classi.
Il termine divenne di uso comune negli anni settanta, a valle delle crisi petrolifere del 1973 e 1979, che avevano fatto vedere in maniera chiara le problematiche poste da un mondo dell’energia troppo dipendente dal petrolio e, in generale, dall’approvvigionamento di fonti fossili.
Negli ultimi trent’anni sono state investite nella ricerca in tal senso molte risorse umane ed economiche. Nonostante ciò, uno dei problemi è rappresentato da conflitti d’interesse tra chi dovrebbe investire i fondi nella ricerca e chi produce attualmente l’energia o chi vende petrolio: di conseguenza vengono a mancare le alternative per il futuro.
Ad oggi sta aumentando, da parte di numerosi ricercatori la preoccupazione per il futuro energetico dell’umanità. Secondo modelli ritenuti generalmente validi come ad esempio il modello di Hubbert, sembra che il petrolio sia in fase di esaurimento (molti pensano che si stia superando il picco di Hubbert). Se ciò si rivelasse vero, provocherebbe delle ripercussioni enormi (alcuni parlano di ripercussioni catastrofiche) sull’economia, lo sviluppo e il sostentamento dell’umanità nei prossimi decenni (in particolare del mondo industrializzato, che maggiormente utilizza queste fonti), in quanto estremamente dipendenti dal petrolio. Una via indicata da molti per non incappare in questi eventi, è l’emancipazione dall’utilizzo del petrolio come fonte energetica, investendo risorse, ricerca e fondi nello sviluppo di fonti alternative di energia, che attualmente ricoprono una percentuale pari a circa il 20% della produzione energetica mondiale. Alcune fonti energetiche alternative sono rappresentate da:
energia nucleare (sia a fissione che a fusione)
energia idroelettrica
energia geotermica
energia ricavata dalla biomassa e biogas (anche biodiesel, vedi olio di colza)
energia eolica
energia solare (sia attraverso centrali solari termiche che fotovoltaiche)
energia del moto ondoso e delle maree
energia prodotta dalla dissociazione molecolare
agroenergie

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innovazione:<3…Crystallball…<3

Crystallball è un innovazione per le piante e fiori. È rivestito da un tessuto plastico il cui compito è di assorbire l’acqua (100 volte il suo volume e trattenerla per 2 mesi), in modo che cresca e riempi tutto il bicchiere da birra o il vaso. Viene usata per mantenere fresche e rigogliose le piante e i fiori tagliati, le radici delle piante possono assorbire tranquillamente l’acqua dalle sfere. È inoltre possibile aggiungere all’acqua una quantità di nutrimento per la flora ed ottenere risultati migliori;basta aggiungere le palline nel recipiente d’acqua con 1l di acqua e aspettare 8 ore per ottenere un risultato ottimo. Se è necessario bisogna sciacquare le palline e rimetterle in acqua per ridargli la giusta idratazione; le palline gel Crystallball possono essere utilizzate anche come abbellimento per la casa. Possono essere mischiate alla terra delle piante, in caso di assenza prolungata; in questa circostanza diverranno un ottima riserva d’acqua a rilascio graduale.

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Invenzione curiosissima: si può depurare l’acqua utilizzando i fichi d’india……

Qualcuno potrà dire che si tratta di vecchi rimedi, solo perché si sfrutta un’antica tradizione messicana, ma si tratta di un metodo sperimentato per purificare l’acqua contaminata. Parliamo di una tecnica antica già nota ad alcune comunità messicane del XIX secolo, semplice ed economica. Per rimuovere le sostanze inquinanti, infatti, si usa il fico d’India, che è una pianta che tutti conoscono e che in inverno assume un colore arancio giallo verde rosso; è di taglia grande e può raggiungere anche i 1,8 m. di altezza. Mantiene la foglia in inverno.

Ecco una bella immagine per chi (caso mai) non avesse mai visto il fico d’india!

Crescendo il fico d’India sviluppa un arbusto tondeggiante. Norma Alcantar è la ricercatrice messicana dell’Università della Florida del Sud (Usa), che ha coordinato lo studio per depurare l’acqua utilizzando i fichi d’india. La ricercatrice Norma Alcantar racconta che sua nonna usava il liquido del fico d’India per rendere l’acqua potabile: lei era molto curiosa di capire come potesse funzionare la depurazione. Certo che in un mondo inquinato come quello di oggi uno degli aspetti fondamentali dell’ecologia, la cura delle acque, è assai importante! Pare proprio che adesso la ricercatrice sia riuscita a capire il segreto di quest’antica tradizione. E’ una trovata a dir poco geniale: il depuratore dell’acqua con il fico d’India! La ricercatrice ha studiato le proprietà delle sostanze verdi del fico e le loro reazioni con i contaminanti nell’acqua potabile. La sua ricerca ha così scoperto che la sostanza gommosa, o la mucillagine, che si trova nei cactus, è in grado di rimuovere i metalli pesanti, particelle e anche batteri dall’acqua che la rendono non potabile. I ricercatori hanno mescolato il fico d’india con i sedimenti e i batteri: hanno notato che in poco tempo le sostanze disciolte in acqua cominciavano ad agglomerarsi, formando nuclei più densi che, per il loro peso, si depositavano sul fondo. Quando l’esperimento è stato ripetuto con acqua contaminata addirittura “con arsenico”, quest’ultimo, interagendo con la mucillagine, saliva in superficie. Quindi nel primo caso è stato necessario filtrare l’acqua, nel secondo è stato sufficiente rimuovere lo strato superficiale. Il concetto di Norma Alcantar è quello di adattare questo materiale in macchinari portatili per le comunità che vivono nelle campagne ed utilizzarlo là dove c’è stata una esposizione ad acqua potabile inquinata. Si tratta di un dispositivo semplice ed immediato (oltrechè “naturale”), quindi va bene nelle zone rurali sottosviluppate, dove l’accesso alle tecnologie di filtrazione convenzionale dell’acqua inquinata è limitato. Il gruppo di studio della ricercatrice si è così concentrato sul fico d’India, un frutto molto più comune del cactus in quanto è diffuso nelle regioni aride del Messico, Stati Uniti occidentali e nel Mediterraneo (l’Italia ne è piena). Poiché il cactus può essere coltivato a livello locale, in modo sostenibile e a basso costo, potrebbe essere un agente ideale per il trattamento delle acque. Attualmente la ricercatrice sta lavorando con antropologi e geologi per usare e applicare questa tecnica nelle comunità che non hanno la possibilità di usare acqua pulita.

LUCIA ADELE N. 3^ A

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Ecco una delle innovazione che potrà cambiare la vita di molti: La protesi robotica

Cyberhand, ovvero la  Cyber mano. Questo è il suo nome ed è la prima protesi cibernetica. Infatti chi ha subito tragici incidenti potrà avere al di sotto del gomito una mano metallica, che  farà parte integrante del corpo non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente. Gli scienziati hanno promesso che mancano soltanto due anni, poiché il progetto è stato elaborato nei scorsi tre anni e mezzo di studi e ricerche. Si sono riuniti dalla  Germania, Spagna, Danimarca, Inghilterra e Italia. Questa mano robotica non è solo del tutto simile a quella umana, ma con essa si può ottenere una fluidità di movimenti, che sono per niente ‘robotici’ e in più potrà “far sentire” l’oggetto che si vuole stringere in mano, con tutte le caratteristiche del tatto,potrà percepire  se una cosa è ruvida, liscia, morbida, dura, fredda, calda. E’ capace non solo di distinguere se una cosa è calda o fredda, ma anche se è calda o caldissima, è anche capace di distinguere il materiale con cui è fatta oppure con che velocità si riscalda. Ma soprattutto, sarà la prima protesi che la persona riuscirà a identificare come propria, come una mano “naturale”. È una vera rivoluzione, anche perché prima, la mano si muoveva soltanto dopo la contrazione dei muscoli del braccio, invece ora con la Cyberhand sarà possibile svolgere dei movimenti ampi e dipendenti dalla volontà nel modo più diretto e naturale. C’è un però, perché bisogna ancora mettere a punto ancora gran parte sull’aspetto più delicato,  quello appunto del collegamento tra l’arto artificiale e la rete neurale. Ciò è possibile perché dopo la perdita traumatica dell’arto, il cervello si riorganizza. E spesso alcune aree cerebrali vicine a quelle che prima controllavano la mano, come quelle responsabili dell’avambraccio, vanno a occupare il posto lasciato “vuoto”.  Capita così che alcuni particolari punti dell’arto, per il cervello dell’amputato corrispondano al mignolo, all’anulare, e così via, della mano mancante. E che quindi il paziente abbia la sensazione di “sentirla” pur sapendo che non c’è più. Trovando quegli esatti punti e andando a stimolarli, ecco che si ottiene l’illusione voluta.
La strada della studio delle cyber mani è anche molto costosa, ma i finanziamenti europei sono finiti a gennaio 2010. Ma chissà che in un futuro non troppo lontano, le Cyberhand non possano semplificare la vita di chi ha perso un arto o anche di chi è costretto a lavorare quotidianamente a contatto con materiali pericolosi.
Ecco anche il video, in cui si vedeno varie azioni svolte dalla CYBERHAND

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E-Book

Un eBook, o libro elettronico, è un libro in formato digitale, ovvero un file consultabile su computer, telefonini di ultima generazione, palmari ed appositi lettori digitali, chiamati anche eBook reader o eReader. Sono questi ultimi gli appositi dispositivi hardware su cui vengono letti i file, nonché il software che ne permette il caricamento.

A differenza di qualsiasi altro documento digitale, gli eBooks non si limitano a replicare il contenuto di un libro cartaceo, ma ne ricreano anche la forma, rendendo la lettura il più possibile simile a quella che si potrebbe avere sfogliando le pagine di un libro. Tutte le azioni che in un normale libro cartaceo sono immediate e scontate, come ad esempio, lo scorrere le pagine o l’inserimento di un segnalibro possono essere emulate dal software del dispositivo di lettura. Il libro elettronico, nell’imitare quello cartaceo, approfitta ovviamente dei vantaggi offerti dalla sua natura digitale, che risiedono principalmente nelle possibilità di essere un ipertesto e inglobare elementi multimediali, e nella possibilità di utilizzare dizionari o vocabolari contestuali.

Per la lettura di un eBook sono necessari diversi componenti:

  • il documento elettronico di partenza o e-text
  • un formato elettronico (eBook format) con cui digitalizzare la pubblicazione
  • un software di lettura compatibile con tale formato
  • un dispositivo hardware di lettura

Gli eBook vengono realizzati e pubblicati nei più svariati formati, molti dei quali, essendo quelli degli eBook un mercato relativamente giovane, non erano stati originariamente concepiti con questa funzione.

I nuovi formati, studiati appositamente per i libri elettronici, se da un lato hanno risolto i limiti dei formati più vecchi, dall’altro hanno creato nuovi problemi. Il mercato infatti ha indirizzato l’industria editoriale verso formati proprietari, legati cioè a specifiche piattaforme hardware e software, che limitano fortemente le scelte dell’utente finale. Questo fa sì che all’utente possa capitare, ad esempio, di ritrovarsi con eBook che possono essere letti solo con certi tipi di software, oppure con un hardware che non supporta il formato di eBook che possiede.

Un modo per aggirare il problema della proliferazione dei formati  è quello di convertire il formato che l’utente non desidera o non può utilizzare in un altro a lui più congeniale. Questa operazione però, oltre a non essere una soluzione definitiva al problema, presenta spesso problemi tali da non essere facilmente eseguibile da tutti.

I vari formati di eBook possono essere suddivisi in tre diverse categorie:

  • Formati testuali (i più diffusi)
  • Formati di immagini
  • Formati audio

Tratto da: Wikipedia – L’enciclopedia libera.

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playstation 3

PLAY-STATION 3

Funzioni

La Play-station 3 offre una grafica di nuova generazione (rispetto alla precedente play-station 2) a scapito di una ridotta velocità di trasferimento che rende obbligatoria in alcuni titoli in commercio l’installazione su disco di una parte di dati.

La Play-station 3 supporta l’HD (come molte tivù di questi tempi) infatti si può anche usare come lettore blu-ray (dvd) e non solo come console da videogiochi.

In più a differenza delle sue predecessori ha una memoria integrata (che può anche ricevere dati da molti altri tipi di memory come quelle della macchina fotografica) per non dover impazzire a comprare nuove memory card o cancellarne i dati.

Caratteristiche

La forma della console è curvilinea,pesa (circa) 5 kg è larga 325 mm e alta 98 mm.

Ha nache molti altri accessori e funzioni,adesso prendendo per esempio la playstation 3 slim ha:

1)      disco rigido da 320 gb

2)      lettore blu-ray

3)      2 porte usb

4)      Bluethoot

5)      Rete per giocare online

6)      Play-station eye

E tantissimi altri accessori per giocare in più o con più longevità.

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Eccezionale invenzione: depurare l’acqua utilizzando i fichi d’india.

Si sfrutta un’antica tradizione messicana, ovvero si utilizza grazie a questa, un metodo per purificare l’acqua contaminata. Si tratta di una tecnica antica che usavano le piccole comunità nel XIX secolo, semplice ed economica. Per rimuovere le sostanze inquinanti, infatti, si usa il fico d’India (Opuntia ficus-indica). Il Fico d’India è una pianta succulenta che in inverno assume una colorazione arancio giallo verde rosso; è di taglia grande e può raggiungere i 1,8 m. di altezza. Mantiene la foglia in inverno.

Eccone l’immagine per chi non avesse mai visto il fico d’india!

Crescendo sviluppano un arbusto tondeggiante. Norma Alcantar è la ricercatrice messicana dell’università della Florida del Sud (Usa), che ha coordinato lo studio. Norma Alcantar racconta che sua nonna usava il liquido del fico d’India per rendere l’acqua potabile. Crescendo la ricercatrice ha cercato di studiarne il motivo. In un mondo inquinato come quello di oggi uno degli aspetti fondamentali dell’ecologia, la cura delle acque, acquista ogni giorno più importanza. E sembra proprio che adesso la ricercatrica sia riuscita a capire il segreto di quest’antica tradizione. E’ una trovata a dir poco geniale e molto economica: il depuratore dell’acqua con il fico d’India. Norma Alcantar è docente associato del dipartimento di chimica e ingegneria biomedica presso l’Università del South Florida. La professoressa sta studiando le proprietà dei materiali verdi e le loro reazioni con i contaminanti nell’acqua potabile. La sua ricerca ha così scoperto che la sostanza gommosa, o la mucillagine, che si trova nei cactus, è in grado di rimuovere i metalli pesanti, particelle e anche batteri dall’acqua che la rendono non potabile. I ricercatori hanno mescolato il fico d’india con i sedimenti e i batteri, e in poco tempo hanno notato che le sostanze disciolte in acqua cominciavano ad agglomerarsi, formando nuclei più densi che per il loro peso si depositavano sul fondo. Quando l’esperimento è stato ripetuto con acqua contaminata con arsenico, quest’ultimo, interagendo con la mucillagine, saliva in superficie. Quindi nel primo caso è stato necessario filtrare l’acqua, nel secondo rimuovere lo strato superficiale. Il concetto di Norma Alcantar è quello di adattare questo materiale nei dispositivi portatili per le comunità rurali e sottosviluppate che sono stati esposti ad acqua potabile inquinata, e dove l’accesso alle tecnologie di filtrazione convenzionale è limitato. Il suo gruppo di studio si è così concentrato sul fico d’India, un frutto molto più comune del cactus in quanto è diffuso nelle regioni aride del Messico, Stati Uniti occidentali e nel Mediterraneo (l’Italia ne è piena). Poiché il cactus può essere coltivato a livello locale, in modo sostenibile e a basso costo, potrebbe essere un agente ideale per il trattamento delle acque. Attualmente la ricercatrice sta lavorando con antropologi e geologi per usare e applicare questa tecnica nelle comunità che non hanno accesso all’acqua pulita.

LUCIA ADELE N. 3^ A

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Innovazione:Ritorno a Scuola hitech: iPad, zaini solari e appunti digitali

Nelle scuole di oggi la tecnologia è sempre più presente nella cartella e all’interno delle aule: aiuta durante l’apprendimento, per lo svago e gli approfondimenti e – diciamolo – pure a ottenere qualche aiutino poco lecito!
Fa notizia il liceo Scientifico “Lussana” di Bergamo la cui classe 4L accoglie un iPad Wifi per ogni studente per un totale di 17 unità che si accompagnano a 6 lettori di ebook, un proiettore e un maxi schermo per un insegnamento hitech all’ultimo grido. Quali sono gli ultimi accessori tecnologici per la scuola?
iPad è il più gettonato, soprattutto all’Università e ai Licei perché permette di prendere appunti in modo veloce e già digitalizzato, di visualizzare video, foto e informazioni e di mostrare i libri digitali. Anche gli e-reader ossia gli ebook reader vanno per la maggiore, pure loro permettono di appuntare note
Le penne non contengono più solamente inchiostro ma anche connettori USB, scanner e sistemi audio con microfono in tal modo è possibile da un lato catturare ciò che si scrive digitalizzandolo, dall’altro registrare l’audio della lezione, poi da sbobinare. Ad esempio si segnala DocuPen X Series, ci sono
soluzioni più economiche come quelle proposte da Nilox.
Lo zaino Sport&Go della H2 planet integra pannelli fotovoltaici per ricaricare le batterie dei dispositivi hitech alcune classi punteranno su
lavagne digitali come la Samsung 650 Ts completamente touchscreen, magari da accompagnare alla penna-puntatore laser Mo1046

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GIRARE PER LA CITTA’, GUADAGNANDO!

Ha funzionato negli Stati Uniti. Potrebbe funzionare anche in Italia.

Tre anni fa Matt Kolb, un agente immobiliare che vive e lavora a Boulder in Colorado, ha avuto un’idea brillante ed ecologica: organizzare tour in bicicletta per mostrare le case in vendita a gruppi di possibili acquirenti. Così ha trasformato l’immagine della sua società, ha comprato qualche bici e l’ha personalizzata con il suo marchio e ha cominciato a muovere le acque.

I risultati non si sono fatti attendere: la CNN gli ha dedicato un servizio e molti altri giornali l’hanno seguita. I clienti hanno apprezzato l’idea di trasformare un’attività stressante in una giornata di relax. E così lui, al contrario di tanti colleghi, ha attraversato in scioltezza la crisi del mercato immobiliare americano degli ultimi anni e la sua azienda, che si chiama Pedal to Proprieties, è adesso un network.

Questa invenzione è molto positiva, perchè oltre a migliorare il globo terrestre dall’inquinamento, fa si che una persona si acculturi del paese in cui vive, osservando i paesaggi, la maniera con cui le persone parlano e ragionano, allo stesso tempo rendendosi conto dell’aria che respira ogni giorno, se è pesante, umida, secca, INQUINATA… di riuscir a mantenere il proprio corpo in movimento, anche, facendo il proprio lavoro, divertendosi….. Anche a queste iniziative, si può aiutare la nostra terra e a lasciarla in salvo anche per le nostre future generazioni. Pensiamo, una volta in più, ai nostri comportamenti sul nostro territorio!

Ciao-Ciao.

BenStyle.

Lazy Guy, 12 settembre 2010

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L’auto senza pilota

Google, il più utilizzato motore di ricerca, a settembre ha annunciato di aver sviluppato un prototipo di automobile in grado di guidarsi da sola.
La Google Car e’ dotata di sensori e di intelligenza artificiale che controllano e guidano la vettura in mezzo al traffico. Per orientarsi utilizza a un GPS collegato alle mappe e ai dati che Google ha raccolto durante la realizzazione del progetto Street View.
Fino ad ora sono state prodotte sette vetture di prova che hanno percorso1.600 km in autonomia e 224.000 Km con un uomo a bordo.
L’unico incidente e’ avvenuto quando una Google car e’ stata tamponata da una vettura guidata da un uomo in carne ed ossa cui era sfuggito che l’auto si era fermata al semaforo rosso.
Il progetto di Google ha come obiettivo quello di salvare vite umane, infatti, le auto robot reagiscono piu’ rapidamente degli esseri umani, hanno una vista a 360 gradi, non si distraggono mai, non hanno colpi di sonno, non assumono né droghe né alcol. L’auto che si guida da sola potrebbe anche dare un impulso allo sviluppo del car sharing, contribuendo a ridurre le emissioni di sostanze inquinanti, ma perché l’auto senza pilota possa diffondersi, è necessaria una connettività capillare su tutto il territorio, cioè banda larga wireless su tutte le strade del pianeta.

Fonti
Focus
Giornalettismo
La Repubblica
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