Ai-ragazzi

Siamo tra voi!

Ciao siamo Nadia e Xhoana, due ragazze della 2ªB di Pontremoli e vi vorremmo esprimere le nostre opinioni sull’ invenzione del robot del quale l’agenzia di nome Xinhua ha detto, ma noi quando abbiamo letto il vostro post sul robot che ha mandato un sms al suo padrone, siamo rimaste stupite, anche perché pensavamo che loro non avessero questa capacità e pensiamo che sia stata una grande invenzione. Speriamo che questa tecnologia arrivi presto anche da noi per  avere così un aiuto per le faccende di casa e altro.

Nadia & Xho.

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I Robot e i Fumetti

Il fumetto odia i robot? Questa domanda sarà la nostra bussola per un cabotaggio nell’oceano delle nuvole parlanti, una navigazione per forza di cose veloce e frammentaria, che lascerà inevitabilmente molte terre inesplorate nella sua scia, ma che tenterà comunque di tracciare una mappa del continente "uomini meccanici/matita e inchiostro". Perché una bussola del genere? Il fatto è che il mondo del fumetto soffre in pieno di quella fobia che Isaac Asimov ha magistralmente definito Complesso di Frankenstein. O, almeno, così sembra. Vediamo qualche esempio…

Zagorobot

Nel fumetto italiano, uno dei primi esseri artificiali cui possiamo assegnare il titolo di "robot" appare negli anni settanta. L’opera in questione è il mitico Zagor, storico purosangue della scuderia Bonelli, e l’albo incriminato è Sulle orme di Titan, una delle prime storie dello Spirito con la Scure.
Titan è, per l’appunto, un essere meccanico antropomorfo e di dimensioni colossali, costruito dal geniale e folle professor Hellingen. Si tratta (c’è bisogno di dirlo?) di una creatura malvagia, brutale e distruttiva, contro la quale il nostro Za-Gor-Te-Nay deve sudare le proverbiali sette camice (anche se la lavanderia di Darkwood passa solo tutine indianeggianti rigorosamente attillate e corte di braccio a sfoggiare i bicipiti).
L’apparizione di Titan sulle pagine di Zagor desta molta impressione, anche perché la Bonelli, all’epoca, pasceva i suoi lettori con una dieta frugale a base di tradizionalissime scazzottate, tribù indiane, cowboy più o meno irsuti e giacche blu atletiche e virili. Con Titan invece si apre una porta verso l’Avventura Fantastica con le iniziali maiuscole, e ciò costituisce, per il fumetto nostrano, una svolta non indifferente.
Per la verità le divagazioni delle avventure dello Spirito con la Scure nella più pura fantascienza non sono rarissime, e divengono ancora più frequenti nel corso degli anni. Quasi tutte sono legate alla figura dello scienziato pazzo Hellingen. Costui (notare il gioco di parole insito nel suo nome, "ingegno" più "Hell") è un villain estremamente interessante: non si tratta solo del classicissimo luminare schizofrenico in camicione nero lungo fino ai piedi da cui (si suppone) non si separa neppure sotto la doccia; al contrario, è una figura geniale, colta e brillante, che risalta magnificamente nei confronti (pugnaci e non) con Zagor. Lo Spirito con la Scure, infatti, rimane pur sempre un tataranzone di campagna che usa la scure come una protesi, uno che pensa che Leonardo da Vinci sia un contadino che vive dalle parti di Darkwood (testuale!) e che per contare fino a venti deve togliersi gli stivali.
Hellingen, che ritorna sulle pagine di Zagor puntuale come la dichiarazione dei redditi, negli anni è il seme intorno al quale coagulano purissimi concetti SF quali dischi volanti, raggi mortali, razzi, virus, mutazioni genetiche, extraterresti e, appunto, robot. Titan è un’evocazione infernale, un mostro di Frankenstein elevato al cubo, un Magog biblico destatosi tra le paludi del Midwest. Sulle sue orme, novello Godzilla d’acciaio, si ergono soltanto rovine. Il fumetto odia i robot? Zagor sembra rispondere di sì.
Passiamo al secondo esempio (in senso cronologico, se non altro). Una figura di robot del tutto opposta (almeno in apparenza) a Titan fa la sua comparsa qualche anno dopo sulle pagine di un albo Disney. E’ Edy, il piccolo aiutante di Archimede Pitagorico.
Quanto Titan era ciclopico e distruttore, Edy è minuscolo, innocuo, taciturno e discreto. Vagamente somigliante a Ciao, l’orrenda mascotte di Italia90, Edy (il cui nome dovrebbe richiamare Edison) ha il corpo filiforme e la testa a lampadina; predilige, quale habitat, la spalla di Archimede, e passa il tempo a sussurrare nelle orecchie del suo padrone.

 

Toporobot

Il fumetto Disney odia i robot? Questa volta la risposta è meno solare… Edy certo non fa paura. Del resto, nei fumetti Disney (tralasciando i recentissimi PK e MM) non esistono veri e propri cattivi: gli stessi Gambadilegno e Macchia Nera sono villain al coccolino concentrato. Piuttosto, ciò che si può scorgere dietro la figura di Edy è un certo tipo di preconcetto, di stereotipo negativo, rivolto verso gli esseri meccanici ma anche, in qualche misura, verso gli scienziati loro creatori. Il capo a filamento di Edy è, sotto questa ottica, una metafora inconscia, di cui generazioni di piccoli lettori si sono inconsapevolmente nutriti, per poi beffeggiare magari il compagno di classe secchione con l’epiteto "testa di lampadina". Se Archimede Pitagorico è lo scienziato picchiatello, distratto e pasticcione ma in fondo con un cuore d’oro (ormai Einstein ha fissato per sempre lo stereotipo della categoria nell’immaginario collettivo), Edy è la sua metà oscura: verso di lui si prova a volte l’insofferenza e il sospetto verso chi, in nostra presenza, biascica segreti nell’orecchio del compare. Nei suoi confronti, piccolo sgorbio senza viso né anima, non si riesce a provare la simpatia che tutti gli altri personaggi disneyani attirano come calamite: Edy è un bizzarro Golem bonsai, che può anche far sorridere, ma che non metteremmo mai nel canestro dei giocattoli del pupo.

 

Superobot

Ma se Disney prende posizione solo a metà, il fumetto americano più tradizionale, quello supereroistico, risponde più vigorosamente alla nostra "domanda bussola". Sia negli albi Marvel che in quelli della DC Comics, i robot appaiono tradizionalmente solo nelle vesti dell’avversario del macho in pigiamino blu di turno. Superman è l’uomo d’acciaio per antonomasia, ogni imitazione è vista con ostilità e sospetto.
L’unica eccezione è rappresentata dal personaggio de La Visione, membro dei Vendicatori, storico gruppo di supereroi Marvel. La Visione è un androide, dotato del potere di alterare a piacimento la densità del suo corpo artificiale. Col viso scolpito in una maschera impassibile, ricoperto da una tutina verde e da un mantello svolazzante, sembra che La Visione sia un robot perfettamente integrato tra i colleghi Vendicatori di carne e ossa. In realtà, così non è: La Visione viene accettato come compagno di battaglia, ma niente affatto considerato pari su un piano "umano". Questa sorta di razzismo sopito si manifesta ad esempio quando La Visione intreccia una storia sentimentale con la "collega" Scarlet. Tale "relazione donna-macchina" (tema del resto ripreso anche dalla recente trasposizione cinematografica dell’Uomo Bicentenario) desta subito la disapprovazione del resto del gruppo, e finanche l’odio del fratello di Scarlet, anche lui membro dei Vendicatori. Un robot può anche essere buono, sembra essere il messaggio, ma deve restare al suo posto.

Buenos Robots

E l’altra grande scuola fumettistica del Nuovo Mondo, quella argentina? Come risponde alla nostra domanda?
Per la verità le apparizioni di robot nelle opere sudamericane sono piuttosto rare. Per gli esseri artificiali sono riservati ruoli da comparsa, invariabilmente malvagi, minacciosi e distruttivi. Dalla "Bestia" di Barbara alle truppe di Nerone ne Cronache del tempo medio, i robot sono nemici a cui è meglio prima sparare e poi chiedere l’ora. I più perfidi di tutti, poi, sono sicuramente i Mephisto dell’Eternauta parte III: questi ultimi, androidi da combattimento giunti da un lontano futuro, meritano perfettamente il loro nome demoniaco: più che precursori di Terminator, sono autentici diavoli a transistor, brutti come il peccato e feroci come ispettori fiscali. Niente da fare, insomma: in Argentina il Complesso di Frankenstein è più vigoroso che mai.
Un’eccezione allo stereotipo del robot cattivo può essere rappresentata dal protagonista della miniserie Io, cyborg di Lucho Olivera. Tale fumetto, ambientato su un Marte invaso dagli eserciti terresti lanciati alla conquista del Pianeta Rosso, narra le gesta di un essere artificiale dal cervello umano, che pian piano si rende conto dell’assurdità della guerra, e che sceglie infine di schierarsi dalla parte dei romantici e decadenti difensori marziani. Il cyborg protagonista (robot nell’accezione più ampia del termine, anche se a rigore non ricade nella categoria) è un personaggio malinconico, poetico, e sfigato al punto giusto per catturare la simpatia del lettore.

 

Robotoidi

Ma la controprova più significativa è senza dubbio Kolbo5, personaggio di Prima dell’Incal di Jodorowsky e Janetov. Costui, amico e alleato di John Difool (protagonista de L’Incal di Moebius) non è semplicemente "buono". E’ buonissimo, persino mistico. Parabole e sermoni biblici schizzano dalla sua bocca meccanica come popcorn. Teorico dell’Amore Universale, esperto di teologia, avversario di ogni oppressione e sfruttamento, Kolbo5 è talmente corretto e perfettino che desterebbe persino antipatia, se non fosse anche un tipo terribilmente contraddittorio e perdente. Ciliegina sulla torta, nel corpo meccanico del povero Kolbo è stata inserita una sorta di "valvola di controllo", programmata per l’autodistruzione qualora il robot provasse un’emozione troppo "umana" (evento che puntualmente si verifica l’ultima puntata della serie). Kolbo è l’angelo custode robotizzato di John Difool, la sua coscienza a circuiti integrati. La sua morte (terminazione?) richiama in maniera impressionante un martirio evangelico. In conclusione, Kolbo5 è la dimostrazione che il fumetto può trattare i robot anche in maniera positiva e originale.

 

Ufo Robot

Continuando la nostra navigazione, non possiamo esimerci dal gettare l’ancora nelle isole del Sol Levante. Il fumetto nipponico è (o almeno lo sembra) il padre di tutti i robot. Ma attenzione: i giganteschi colossi d’acciaio che hanno fatto la fortuna di Go Nagai e compari non possono essere definiti robot. Dal capostipite Mazinga Zeta ai suoi innumerevoli nipotini, si tratta di macchine da combattimento pilotate da un essere umano per mezzo di comandi più o meno tradizionali: non sono dunque più vicini a un automa di quanto lo sia un carro Abraham o un F15. I robot veri e propri, sulle pagine dei manga e tra i fotogrammi degli animé, sono relativamente pochi. Seguendo il fil rouge della nostra domanda, raccogliamoli nel "tabellone dei buoni e cattivi".
Tra i buoni possiamo annoverare il tracagnotto Pegas di Tekkaman, l’affascinante protagonista (continuando a comprendere i cyborg nella categoria degli automi)di Ghost in the shell, e l’eterna adolescente Alita. Oltre questi, al massimo qualche comparsa, come la mascotte di Danguard o altri comprimari di scarsa rilevanza.
Tra i cattivi (come dubitarne?) l’elenco è ben più folto. In generale, avversari dei "Robot Pilotati Buoni" nei manga sono automi veri e propri, quasi a dimostrare l’assunto "un robot che non ubbidisce direttamente a un essere umano dev’essere necessariamente cattivo". Ma il fumetto giapponese ci mostra spesso intere popolazioni di robot che minacciano la Terra e la nostra specie: ricordiamo i Meganoidi di Daitarn III, gli androidi di Kyashan, le legioni di nemici di Alita, i "Gigantesci Soldati Invincibili" di Nausicaa e innumerevoli altri… Certo, psicologicamente è un vantaggio avere avversari meccanici: quando li fai a pezzi, non sanguinano, perciò si può continuare a massacrarli e sentirsi comunque politicamente corretti.

 

Robonelli

Per trovare un vero e proprio ribaltamento di prospettiva dobbiamo (e diciamolo per una volta con orgoglio) completare la navigazione e tornare laddove eravamo partiti, in Italia. Più precisamente, alla scuderia Bonelli. Forse per espiare (Giovanni Paolo II docet) la perversa spirale iniziata con Titan, i più recenti albi della Casa Editrice Milanese hanno tentato un paio di esperimenti narrativi piuttosto interessanti. Vediamoli.
Inizia Dylan Dog nel numero 28, Lama di Rasoio. Il tale albo L’Indagatore dell’Incubo scopre che un intero sobborgo di Londra, Stepford, è abitato da androidi camuffati da esseri umani. Ma, attenzione, non si tratta di una subdola invasione, di una volontà più o meno occulta di sostituirsi alla razza umana: al contrario, gli androidi in questione sono vittime degli esseri umani. Essi infatti sono stati creati dal dottor Murray per permettere a Tay, un serial killer, di sfogare impunemente su di loro i suoi istinti omicidi: ogni notte, Tay fa a pezzi con un rasoio uno o più abitanti di Stepford; il giorno dopo, Murray ricostruisce le vittime e le rimette al loro posto.
Il concetto è semplice e geniale, e dice qualcosa di talmente ovvio da risultare persino inedito: la violenza, l’istinto sadico, la crudeltà, in definitiva il Male, dice Sclavi (un autentico filosofo da edicola) sono proprie del genere umano, sono stimmate che noi uomini ci portiamo impresse nella carne dall’alba dei tempi; in nessun cervello positronico, in nessun circuito stampato potrà mai essere ricostruita una sola oncia delle perversioni, dell’odio, della follia eternamente in agguato in ciascuno di noi. Sclavi non è nuovo a simili provocazioni, a tali rovesciamenti di fronte, a paradossali inversioni dei ruoli tradizionali, ma in questo caso riesce a essere davvero convincente.
E’ però Nathan Never ad andare ancora più in là. La serie Bonelli più dichiaratamente targata SF affronta l’argomento Robot praticamente in ogni albo. In particolare, sviscera a fondo la questione nel numero 28 (strana coincidenza, lo stesso di Lama di Rasoio) dal titolo Io, Robot.
In tale albo Antonio Serra ipotizza cosa accadrebbe a dei robot "asimoviani" privati delle famose Tre Leggi della Robotica. Essi, conclude, finirebbero per sviluppare una propria personalità e un proprio istinto. Non necessariamente legati alla sfera di pensiero umana. Non sarebbero "buoni", e neppure "cattivi", perché tali categorie, ancora, appartengono prettamente alla morale della nostra razza. Sarebbero, semplicemente, diversi.
Vediamo infatti gli androidi protagonisti della vicenda risultare assolutamente inadeguati nei ruoli troppo umani di cospiratori, di rivoltosi, di rapitori. La violenza, si vede benissimo, non fa per loro: gli uomini li surclassano completamente. Al contrario, i robot "liberi" mostrano motivazioni, comportamenti e persino fobie singolari, aliene, assolutamente affascinanti. In Io, Robot, finalmente, il fumetto non odia i robot. Non li ama, e non prova paura di loro. Fa ciò che deve: li presenta come sono, come saranno, come potrebbero divenire.

Chiudiamo perciò la nostra navigazione con le parole che il robopsicologo Calvin Sung (ovvio richiamo asimoviano) rivolge al robot C-09:
"Tu pensi di non essere vivo, C-09. Ti sbagli. Tu ti muovi e ragioni in modo indipendente, hai bisogno di energia come un uomo ha bisogno di nutrirsi. Sei anche in grado di riprodurti, costruendo una copia di te stesso. C-09, tu sei a tutti gli effetti vivo, anche se non nel modo umano. Né peggiore né migliore… Solo diverso. Tu, C-09, sei il primo rappresentante di una nuova forma di vita sul nostro pianeta: i robot."
Tutti i diritti sono riservati. E’ vietata la riproduzione in tutto o in parte del testo e delle fotografie senza la previa autorizzazione della direzione di Delos Science Fiction e degli aventi diritto.
Le illustrazioni di Marco Patrito, Maurizio Manzieri, Donato Giancola e Frank Kelly Freas, riprodotte in questo articolo, sono pubblicate con il permesso dei rispettivi autori e non possono essere ristampate o riprodotte elettronicamente in alcun modo senza autorizzazione scritta degli artisti. In particolare l’illustrazione "Earth, do you read?" by Donato Giancola, è di proprietà esclusiva di Playboy Magazine ed è pubblicata all’interno di questo articolo per speciale concessione dell’autore.

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Ai ragazzi di Ludus litterarius

Cari tutti,

il mio piccolo incidente, come ormai saprete, mi terrà lontana da scuola per quindici giorni. Saranno quindici giorni “cruciali” per i nostri progetti, per la chiusura dell’anno scolastico anche in vista dell’esame di licenza.
Credo che Internet possa aiutarci a superare “l’assenza” e la “distanza”. Continuiamo a lavorare con serietà come abbiamo fatto finora.
Siete in grado di lavorare in modo autonomo e sapete quello che resta da fare, mi aspetto che lo facciate. Sarò a portata di “clic”: non esitate a contattarmi, se e quando avrete bisogno del mio aiuto.
Invito tutti alla massima collaborazione, all’aiuto reciproco e a non dimenticare i compagni che non hanno un collegamento Internet a casa.
Inaspettato, è giunto il momento di metterci alla prova.

carla

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Guardate chi c’è :D

 

Thank you so much for this. I am very pleased it was useful to your class. If I can be of any help, please just let me know; nothing is more important to me than our children making a new and better world in part by using the connectedness the Internet gives us.

(Sorry I can’t write this in Italian.)

– David Weinberger
self@evident.com

Dal traduttore all’autore di Small pieces loosely joined
Per leggere tutto: qui

PS. SnoopyLixxx, aiutooooo!!! 

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Giorno della memoria

Prima vennero per gli ebrei
e io non dissi nulla perché
non ero ebreo.

Poi vennero per i comunisti
e io non dissi nulla perché
non ero comunista.

Poi vennero per i sindacalisti
e io non dissi nulla perché
non ero sindacalista.

Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno
che potesse dire qualcosa.

Martin Niemoeller

Pastore evangelico deportato a Dachau

Pubblicato in: Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

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