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Sulla Folksonomy e sull’utilità delle etichette.

Folksonomy significa mettere le etichette ai contenuti – dell’internet, nel nostro caso – per rendere più immediata la loro condivisione. È come appiccicare un bigliettino con sopra scritto zucchero sul barattolo dello zucchero: aiuta a trovare il dolcificante più in fretta e, nel caso in cui i contenitori siano simili, a distinguerlo dal sale. Certo, potremmo pur sempre utilizzare recipienti col nome dell’ingrediente prestampato.Tuttavia, se usciamo dalla cucina e torniamo dentro l’internet, è evidente che prevedere barattoli personalizzati per ogni possibile contenuto sarebbe un’impresa colossale e terribilmente costosa. Né, del resto, sarebbe più efficace fornire istruzioni perché ciascuno si costruisca i contenitori di cui ha bisogno seguendo alla lettera specifiche comuni.
A questo serve la folksonomy: poiché non è verosimile che un’intera comunità di persone assimili in tempi ragionevoli un metodo comune di classificazione delle risorse e lo applichi limitando gli errori, suggerisce che sfruttare le etichette spontanee poste da ciascuno sia comunque un notevole passo avanti rispetto al caos.
Senza contare che l’internet è una credenza priva di scomparti, in cui sale e zucchero potrebbero trovarsi nei posti più impensabili.

Il miglior disordine possibile
Posto un universo di dati potenzialmente infinito, la folksonomy – la folksonomia, per dirla con una spenta italianizzazione – è, a oggi, il miglior disordine possibile. Folksonomy è un neologismo coniato nel 2004 da Thomas Vander Wal, ed è tratto dall’inglese folks (gente) e taxonomy (tassonomia, classificazione).
Tassonomia popolare o, come preferiscono dire in molti, etnoclassificazione: consiste nella buona pratica di appiccicare etichette di senso alle risorse condivise sul web, siano esse testi, immagini, indirizzi o profili personali.

Tratto dall’articolo: Ci faremo largo con i Tag – Sergio Maistrello. Monthly Vision, marzo 2006.

Download dell’articolo completo: qui [Pdf 350 KB ca.]

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